Quando mio padre emigrò in Francia

Recensione.

Saggistica

Martine Storti, , Edizioni Giacché, 2009, pp. 159. Euro 16,00.

Innanzitutto va ringraziato l’editore Giacché di aver tradotto e messo a disposizione del pubblico italiano un testo autentico e commovente che racconta la storia di Matteo, un italiano antifascista fuggito in Francia dopo aver lasciato la sua terra d’origine.
Rifugiarsi oggi nella terra dei diritti dell’uomo è un sogno frantumato dall’attuale politica di Nicolas Sarkozy, prova ne è la creazione di “un ministero dell’immigrazione e dell’identità nazionale” che rappresenta una contraddizione con i principi e i valori della Repubblica francese. Perché va letto questo libro? Sono due le ragioni per leggerlo. La prima riguarda l’indagine che l’autrice ha svolto per decifrare la personalità del padre, per ricuperare il “tempo perduto” e ricostruire il passato di un genitore attraverso un filo conduttore che le permetta di ricomporre la figura del padre integrandola, in un dato contesto storico, a quella degli altri emigranti cioè i “ sans papiers”, i rifugiati, i ”clandestini” e gli apolidi.
Un periodo triste e doloroso che evoca l’immagine di milioni di persone sfuggite alla persecuzione nazista ed alla sua cultura di morte, un sistema barbaro, totalitario che fece della discriminazione e del massacro di massa una filosofia di governo e di gestione di un sistema. La storia è sempre presente nelle sue mutazioni e contraddizioni a ricordarci questa pagina nera dell’Europa.
La seconda ragione che rende la lettura di questo testo molto interessante è quella di ricordarci la situazione dell’immigrazione in Italia e lo sbarco quasi quotidiano sulle nostre coste di migliaia di disperati alla ricerca, di una vita migliore in Europa. Si tratta di una situazione drammatica che impone all’Europa di trovare delle soluzioni comuni giacché la politica dell’immigrazione non riguarda più un singolo paese ma tutta la comunità europea includendo anche i paesi d’origine. Occorre domandarsi se la libertà di circolazione, il diritto di vivere vicino a coloro che si amano, di guadagnarsi la vita in modo dignitoso deve essere la prerogativa esclusiva dei paesi ricchi. Non sono più solo i “ clandestini” a rischiare l’espulsione ma anche i regolari che perdono il lavoro dopo anni di contributi e che si vedono rifiutare il rinnovo dei loro permessi di soggiorno. Ignorando volutamente il loro contributo all’economia nazionale, alcuni politici cercano di pescare nel torbido sfruttando la crisi e indicando nell’immigrato, integrato o clandestino, il capo espiratorio del momento. Queste persone sono sovente confuse con la loro religione generando per questo l’assenza di una conoscenza di base, alimentata dall’ignoranza, a sua volta irrigata dalla paura e dai pregiudizi. Spesso l’Altro è uno specchio deformato che ci rimanda alle nostre paure e fobie.
Nella prefazione al testo di Martine Storti, Hélène Giaufret – Colombani scrive: “Questo libro è un gesto d’amore, nato da una ferita. Un gesto d’amore filiale della narratrice nei confronti del padre, che, per un desiderio d’integrazione, sembra avere rimosso la propria italianità, evitando di insegnare la lingua paterna alle figlie, per cui l’italianità si concretizza in gesti semplici, in abitudini, in riti, grazie in particolare alla presenza della nonna che perpetua la tradizione gastronomica della sua regione.
È come se soltanto la scrittura permettesse quindi all’autrice di assumere definitivamente la sua appartenenza all’Italia”.
Un libro chiaro e piacevole da leggere e che ci offre la possibilità di riflettere sulla storia di una persona semplice che può trovare una sua collocazione esemplare nel movimentato mondo dell’immigrazione contemporanea. Ahmed Habouss

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