Scalfari: “E’ Don Abbondio l’archetipo dell’italianità”

Scalfari: "E' Don Abbondio l'archetipo dell'italianità"

PERCHÉ il sommo poeta, il Dante di “Ahi serva Italia…”, può essere indispensabile per spiegarci il nostro Paese e, soprattutto, la sua democrazia? E perché possono esserlo Petrarca oppure Boccaccio, Machiavelli e poi Manzoni, Berchet e Tommaso Grossi? E che cosa c’entrano, con tutto questo, il Centociquantenario dell’unità nazionale e quel Francesco De Sanctis che fu sì anche patriota (e per le sue idee finì in galera sotto i Borboni), ma soprattutto letterato sublime e grande professore della nostra lingua italiana?
A chi capiterà domattina alle 10.30 di partecipare al Teatro Carignano a uno dei “discorsi” della Biennale Democrazia, dedicato a “L’Italia di Francesco De Sanctis” (con l’introduzione di Gustavo Zagrebelsky), la sorte offrirà l’occasione di trovare risposte e scenari impensati nelle parole di Eugenio Scalfari, fondatore di “Repubblica”. E sarà un’esperienza affascinante, nella quale la lenta e complessa storia letteraria del nostro Paese, la possente personalità di De Sanctis e i suoi studi, si intrecceranno via via con la politica italiana dal 1861 ai giorni nostri, con le svolte economico-istituzionali dei primi governi unitari e con la costruzione di uno Stato capace di mettere assieme lo Stivale. Ma, in particolare, con l’autore più importante per De Sanctis in tutte quelle vicende, Alessandro Manzoni; la sua opera più famosa, “I Promessi Sposi”; e un archetipo assoluto dell’italianità e della sua scarsa cifra morale, Don Abbondio.

ETTORE BOFFANO

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