Rincari e rubinetti chiusi i rischi della privatizzazione

Rincari e rubinetti chiusi i rischi della privatizzazione

GUALDO Tadino si trova ai piedi dell’appennino umbro marchigiano. Da queste parti l’acqua un tempo non si pagava nemmeno perché c’è sempre stata in abbondanza. Pozzi dovunque. Qui c’è la sorgente di una nota acqua minerale. Ebbene qui – anche qui – l’acqua è diventata preziosa. E se dai tuoi rubinetti del terzo piano non sgorga perché ha poca pressione e non riesce a salire, beh, ti paghi i nuovi tubi. Seimila euro sono stati chiesti a un cittadino di Gualdo, che ora si è rivolto alle associazioni dei consumatori.

Avere l’acqua a casa non è più scontato. Anche questa è la privatizzazione del servizio. Privatizzazioni innanzitutto nelle logiche di gestione ancor prima che nelle proprietà. Nella Umbria Acque, per esempio, il socio privato, controlla il 42%. Ma – si è visto – non cambia nulla. Ha inciso, un po’, per temperare l’inarrestabile ascesa delle tariffe: in dieci anni, dal 1998 al 2008 – riporta Antonio Massarutto nel suo “Privati dell’acqua”, appena uscito per il Mulino – sono aumentate del 47%. E nel solo periodo 2005-2008 la spesa per il servizio idrico è cresciuta del 12%, circa il 4% in termini reali. Una famiglia di tre persone spende in media 293 euro all’anno per l’acqua. Di quella che si utilizza, perché tanta se ne va persa in una rete idrica che è un vero colabrodo. Circa il 37% dell’acqua immessa in rete non viene fatturata con punte fino al 70% in alcune aree del Mezzogiorno, lì dove la fornitura dell’acqua è anche un

business per la mafia e le altre organizzazioni criminali.

 

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