22 settembre 2011 — pagina 51 sezione: CULTURA
Ho seguito con vivo interesse la polemica tra Alberto Asor Rosa e i due curatori dell’ Atlante della letteratura italiana pubblicato da Einaudi ed ho letto la lettera che Ernesto Franco ha scritto al nostro giornale su quella controversia. Intervengo a mia volta ma non nel merito della discussione bensì su un’ altra questione che mi sta invece molto a cuore. Tutti e tre gli interlocutori, sia pure in modi diversi, hanno ritenuto importante aver superato lo schema della dipendenza della storia letteraria da essi definita con i nomi di De Sanctis-Croce-Gramsci che risalirebbe alla filosofia dello Spirito di Hegel. Quello schema – o metodo che dir si voglia – avrebbe ingessato la storia della letteratura fino ai tempi nostri ma sarebbe stato finalmente messo da parte. Le bende hegeliane sarebbero state tolte e la mummia letteraria per tanto tempo conservata sarebbe finalmente rinata fresca e vitale, aperta a nuove forme e libera da metodi e da schemi. In queste loro conclusioni – in realtà meno apodittiche in Asor e più tranchant in Luzzatto e Pedullà – mi sembra che concordi anche Ernesto Franco. Sarà forse colpa mia se non riesco a capire di che cosa parlino, ma per quel tanto che posso decifrare mi sembra che stiano battendo un percorso sbagliato. Anzitutto: non esiste una linea comune di approccio alla critica letteraria che vada da De Sanctis a Croce (tralascio Gramsci nei cui studi in proposito si inserisce anche un pensiero politico militante). De Sanctis – come Sainte-Beuve – prendeva in considerazione al tempo stesso le opere, il personaggio dell’ autore, il contesto storico in cui egli operava e la società alla quale apparteneva e della quale era una voce. La tesi della poesia e non poesia di Croceè completamente difforme dal pensiero di De Sanctis. Croce si concentrava sull’ opera; le vicende, il carattere, la società che ospita l’ autore non lo interessavano né tanto né poco. La sua posizione era in tutto simile a quella di Proust nel suo Contro Sainte-Beuve. Non riesco perciò a capire quale sia la linea che collegherebbe De Sanctis e Croce. Basterebbe del resto leggere il pensiero critico desanctisiano e quello crociano su Leopardi per cogliere tra i due differenze abissali. Dipendenza dalla filosofia dello Spirito e dall’ estetica di Hegel, da cui i due critici non si sarebbero liberati? A me non pare che questa dipendenza ci sia mai stata. Croce deriva certamente dall’ idealismo e dallo storicismo tedesco di Fichte e di Hegel ma, tra i filosofi post-hegeliani è stato probabilmente quello più innovatore. Il solo che abbia smantellato la dialettica tra gli “opposti” (tesi-antitesisintesi) mettendo al suo posto la dialettica tra i “distinti”. Sostituì cioè la costruzione trinitaria di Hegel con una costruzione circolare tra i vari momenti dello Spirito, recuperando così quella visione laica che era andata perduta dall’ hegelismo. Hegel restaurò la metafisica che era uscita assai bistrattata dal “cogito” cartesiano, recuperò l’ assolutezza trascendente dello Spirito, sublimò quella trascendenza facendone partecipe perfino lo Stato; posizioni dalle quali Croce si distaccò esplicitamente e che, semmai, furono riprese e portate avanti da Giovanni Gentile. De Sanctis dal canto suo non era un filosofo anche se la filosofia occupò un posto di rilievo nel suo pensiero. Ma non ebbe alcun rapporto empatico con Hegel. Lo ebbe invece con Schopenhauer al punto che, durante il periodo del suo insegnamento a Zurigo, scrisse una sorta d’ intervista immaginaria insieme ad uno dei suoi allievi preferiti. In quello scritto il De Sanctis si fingeva Schopenhauere l’ allievo si fingeva l’ intervistatore. È uno scritto di piena adesione al pensiero d’ un filosofo che, come è noto, considerava Hegel come un “saltimbanco della filosofia”, se non addirittura come un ciarlatano. L’ idea che l’ autore della Storia della letteratura italiana non sia riuscito a liberarsi da Hegel mi sembra dunque assolutamente mal posta. Ricapitoliamo. Non esiste una linea diretta tra De Sanctis e Croce ma anzi profonde differenze nel loro modo di valutare autori e opere letterarie. È vero però che ambedue avevano un profondo senso storico. Del resto sarebbe molto difficile scrivere una storia se non si è assistiti da senso storico. Asor Rosa l’ ha ampiamente dimostrato nella sua Letteratura italiana. Capisco che un Atlante non è una storia né se lo propone. Può essere molto utile un Atlante e questo dell’ Einaudi certamente lo è, così come lo sono le “Pagine gialle” rispetto all’ elenco telefonico che procede seguendo l’ ordine alfabetico. Quanto alla geografia che sarebbe la grande novità letteraria di Luzzatto e Pedullà sulla spinta ricevuta dall’ insegnamento di Dionisotti, mi limito a ricordare che la geografia senza storia è appunto soltanto un atlante didascalico che disegna i mari i monti le pianure e i fiumi. D’ altro canto una storia senza geografia è impossibile. Sono dunque un’ unica disciplina formata da due specialità impensabili se separate. Si può naturalmente dissentire nelle valutazioni specifiche. Si può ritenere, come fanno Luzzatto e Pedullà, che i primi vagiti della letteratura italiana siano stati emessi a Padova o invece, come sostiene Asore tutta la storia letteraria, in Sicilia e a Firenze. Ma in entrambi i casi storia e geografia non possono che andare sottobraccio. Se questa è un’ innovazione, rimonta ai tempi di Cino da Pistoia e, prima ancora, ai trovatori provenzali, ai menestrelli che cantavano rime sulle corde dei liuti nei castelli d’ Aquitania e sugli studenti che affluivano a Bologna. Quantoa De Sanctis-e qui chiudo- bisognerebbe ancora leggerlo nelle scuole. S’ imparerebbe a scriver meglio, che poi significa pensare e volere in modi più appropriati di quanto oggi non avvenga. – EUGENIO SCALFARI