SE NON ci fossero state persone come Giuliano Pisapia e Luigi de Magistris, nelle due città malate d’Italia che sono Milano e Napoli, probabilmente non avremmo assistito in diretta alle fine politica di Berlusconi e della sua inaudita magia. Molti elementi hanno contato, e tra questi sicuramente la coalizione divenuta un garbuglio, la cocciuta scommessa di Gianfranco Fini su una nuova destra legalitaria, la smisurata insipienza di un premier che s’aggrappa follemente a Barack Obama come Michele Sindona s’aggrappò negli anni ’70 agli amici americani.
Ma il vento più impetuoso viene da altrove, viene da dentro gli animi, è una forza che ha travolto tutti i copioni consueti. Eravamo abituati a dire, con Gramsci, che quel che urge è il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà. Non è vero. Quel che ha vinto, a Milano e Napoli, è l’ottimismo della ragione: lo sguardo chiaro, veggente, sui tanti segnali degli ultimi anni. Il non possumus di Fini, le onde viola, la manifestazione delle donne il 13 febbraio, irradiatasi da Internet come virus (“Bastava non votarlo”, diceva un cartello: è stato preso sul serio). Qualche giorno dopo, al festival di San Remo, il televoto scelse Roberto Vecchioni e anche quello fu un segno.
Alle nostre spalle, ci sono tanti sassolini bianchi che hanno finito col mostrare la via, come nella fiaba di Grimm. Li abbiamo messi noi, cittadini-elettori. Il castello che sembrava granitico, è il popolo sovrano che l’abbatte; lo stesso popolo che il premier
usa per affermare un potere illimitato. Un’immensa e tranquilla fiducia di potercela fare, un’intelligenza-conoscenza dell’Italia reale, una voglia di provare alleanze interamente centrate sull’etica pubblica e la legalità, un’estraneità profonda ai partiti dell’opposizione, alle loro élite: questi gli ingredienti che hanno fatto lievitare il pane che abbiamo mangiato lunedì. E il senso che sì, più di Gramsci valeva Pessoa: “Tutto vale la pena, se l’anima non è piccola”. Chi ha ottimismo della volontà, lasciando che la ragione si deprima e inebetisca, altro non gli resta che la volontà di potenza.
L’ottimismo dell’intelligenza apre lo sguardo ai segni – rendendo visibile l’invisibile – entra in sintonia con le mutazioni di una società, resuscita parole diradatesi per malinconia. È possibile ricostruire una Milano accogliente, capitale morale. È possibile strappare il Sud a mafia, ‘ndrangheta, camorra, corona unita, cominciando dalla città-Babilonia che è Napoli. Non ci fa paura la paura. Luigi Bersani ha avuto la saggezza (dopo due sconfitte dei candidati Pd: alle primarie milanesi e nel primo turno a Napoli) di presentire che questa primavera italiana lui doveva assecondarla, aiutarla. Come scrive nel suo blog Pietro Ancona, già segretario della Cgil, Bersani s’è mostrato capace di buon senso: “Ha preferito vincere senza essere il protagonista principale, piuttosto che perdere essendolo”. Anche questo è ottimismo dell’intelligenza.