06 ottobre 2011 — pagina 43 sezione: R2
L’Islam come rivendicazione sociale, religiosa e politica: nel 1985 fu il tema di una prima inchiesta, Les banlieues de l’Islam. Un quarto di secolo dopo, la situazione è molto cambiata e per questo abbiamo voluto indagare a Clichy-sousBois e Montfermeil, epicentro delle sommosse dell’autunno 2005. L’estrema ghettizzazione di questa borgata, il sentimento di relegazione che domina fra i suoi abitanti ha avuto come effetto di compensazione, in un certo modo, l’affermarsi di un’identità religiosa più forte. I valori religiosi sono un vettore di coesione sociale, nell’Islam come nel cristianesimo o il giudaismo. Ma quando si ha l’impressione che le istituzioni siano inadempienti, quando manca il lavoro, la dimensione religiosa tende a sostituirsi alle istituzioni, ma questo è anche un modo per chiedere di essere integrati nella società.
I protagonisti della nostra inchiesta sono diversi da quelli del 1985. Allora si trattava di lavoratori immigrati, che in grande maggioranza non erano francesi, e di confessione musulmana.
Oggi, in gran parte dei casi, hanno lasciato il posto a una giovane generazione, nata qui, di nazionalità francese: non è più l’Islam in Francia, ma l’Islam della Francia. Questo fenomeno si è sviluppato mentre al tempo stesso si osservava una progressione notevole della disoccupazione e la crescente difficoltà della scuola a educare questi giovani per consentire loro di avere accesso ai nuovi impieghi, in particolare nel terziario.
La deficienza dell’istruzione ha messo in difficoltà la logica d e l l ‘ i n t e g r a z i o n e , non solo sociale ma anche culturale. In questo contesto che si sono prodotti gli avvenimenti dell’autunno 2005, le sommosse scoppiate a Clichy e Montfermeil.
Esplose nonostante ci fosse stato un importante coinvolgimento dello Stato nelle borgate popolari, contrariamente a quel che si è potuto vedere in Gran Bretagna, negli Stati Uniti o altrove, in particolare grazie alla politica di rinnovamento urbano, che consisteva a distruggere gli enormi edifici vetusti per rimpiazzarli con costruzioni più moderne e piacev o l i . C i ò n o n o s t a n t e , i l problema è adesso quello di entrare in una nuova fase, passare, dal rinnovamento dell’habitat al rinnovamento sociale e culturale.
La principale posta in gioco è l’istruzione, che deve permettere l’accesso all’occupazione. Non è solo una questione qualitativa, perché questa occupazione può anche consentire alla Francia di mantenere la sua competitività economica internazionale. Ma è anche la promessa di un’integrazione culturale migliore, che possa permettere anche a chi vede nell’Islam la propria identità di negoziarla nel quadro della Repubblica e dell’ordine repubblicano.
Oggi, nei quartieri in cui la République e le sue istituzioni sono meno presenti c’è la tendenza ad avere, soprattutto nelle borgate più isolate, un’auto-organizzazione, modi di resistenza che si riferiscono sempre più alla cultura musulmana. Lo si vede con lo sviluppo dell’alimentazione halal, con i matrimoni contratti soprattutto all’interno della comunità, mentre il modello francese d’integrazione si è appoggiato molto, per esempio, sui matrimoni misti. E’ un fenomeno che riguarda soprattutto i quartieri isolati e non si ritrova allo stesso modo altrove, ma oggi è un fenomeno preoccupante. Tutto ciò per dire che le forme prese dallo sviluppo dell’Islam in Francia, assai diversificate, indicano le difficoltà incontrate dalle borgate popolari e le sfide che aspettano il prossimo presidente della Repubblica: la questione delle banlieue centrale per la coesione sociale, per il dinamismo e la prosperità della Francia di domani. Reintegrare le borgate popolari nel tessuto sociale è un obiettivo essenziale e Clichy-Montfeermeil è la Francia, non è qualcosa di nascosto dietro i muri anti-rumore delle autostrade, di cui non si parla mai o che è oggetto di strumentalizzazioni demagogiche. La situazione è invece molto diversa nei paesi che avevano una forte dimensione comunitaria, come la Gran Bretagna, l’Olanda, la Germania, dove si pensava che gli individui potessero vivere ripiegati su loro stessi e dove non c’è una cultura di integrazione o di assimilazione come quella francese. Le logiche multiculturali presenti in quei paesi sono state profondamente minate dallo sviluppo di movimenti terroristi islamici: gli attentati di Madrid nel 2004, quelli di Londra nel 2005, l’assassinio di Theo Van Gogh in Olanda e poi l’affare delle vignette in Danimarca. O tutto ciò ha suscitato una reazione contraria e quei paesi multiculturali sono forse oggi i più chiusi alla diversità sociale.
La Francia non è mai stata multiculturale e mi sembra meglio attrezzata per affrontare una questione essenziale: rinnovare e rifondare una politica di integrazione sociale e culturale, basata sul postulato che chiunque arriva in Francia, si integra socialmente e culturalmente, è francese come chi è nato da sempre in questo paese. Si è francesi per cultura come si è greci per la palestra e il liceo.
Credo sia qualcosa che non si è stati abbastanza capaci di mettere in opera nelle banlieue, ma che mi pare realizzabile.
Nella nostra inchiesta colpisce una cosa: al di là dell’azione dello Stato, ci sono fenomeni di successo individuale che vengono da imprenditori di origine immigrata e che sono fra i migliori vettori dell’integrazione.
La società è pronta, tutti i francesi, tranne forse in alcune zone rurali, sono abituati a vivere con persone di origine straniera, è una tradizione antica. Si tratta di sapere se le culture devono convivere in una logica antagonista o comunitaria oppure se nelle diverse tradizioni culturali quel che è comune deve prendere il sopravvento su quel che è diverso.
Èquesta l’integrazione: occorre un’azione pubblica, ma ci vogliono anche campagne di sensibilizzazione, perché quel che abbiamo in comune abbia il sopravvento nel progetto sociale.
– GILLES KEPEL
Fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/10/06/dellislam-le-periferie.html