03 settembre 2011 — pagina 1 – 12 – 13 sezione: PRIMA PAGINA
AL MARITO ordina di non riferire niente alla moglie: «Non devi fare che tutte le cose che io ti dico, tu gliele vai a dire a Nicla». SEGUE EALLA moglie: «Non è possibile che quello che io dico a te tu lo dici a lui». Della moglie di Tarantini, Lavitola è anche l’ amante e, sfogandosi con il marito, sembra quasi che lo rivendichi: «Io mi sono legato troppo a tua moglie, a te e compagnia cantante». Al punto che gli chiede aiuto per renderla meno petulante: «Non dirgli tutti i cazzi, perché quella si fa pigliare dalle crisi isteriche e mi fa una capoccia così». Come triangolo è inedito, una sorta di aggiornamento dei “Mostri” di Dino Risi al capitolo “adulterio”, l’ applicazione moderna della sentenza popolare che «i denti quando spuntano fanno male, ma poi ci mangi». Ma anche la truffa classica subisce qui un’ evoluzione. Non solo Lavitola deruba entrambi, marito e moglie, della gran parte dei soldi (400 mila euro su 500) che quelli a loro volta avevano estorto a Berlusconi ma costringe i truffati a ringraziarlo d’ essere stati truffati. Lavitola truffa anche la truffa. Quando Tarantini dunque scopre di essere stato raggirato, evoca Lele Mora che ha «avuto 4 milioni di euro, 4 milioni!» ma «Emilio Fede, a tromba, l’ ha truffato». Perciò adesso si ritrova peggio di Mora che «fa schifo a Berlusconi». Lavitola, come i magliari della borsa nera, non nega: ammette di avere trattenuto il danaro, ma non per sé. E si indigna persino: «Dovessimo fare che alla fine, dopo tutti i casini che faccio, sembra pure che mi dovessi fottere i soldi io?». No, è per il loro futuro che ha messo da parte il bottino: «Stanno in un conto chiuso in Uruguay». Glieli tiene lì «per l’ emergenza». E non gli dà neppure il numero del conto e il nome della banca: «E se ti arrestano con il bigliettino in tasca?». Esibisce una sovrabbondanza di sentimenti: «Tu sei il mio fratello più piccolino». E lo chiama «amore mio» e «fratellino mio». Ecco: «Più merda c’ è e meglio è», dice Lavitola che al contrario di Lutero sguazza nello sterco del diavolo. E lì che lavora, in quella roba con la quale tutti noi abbiamo dei problemi, è il suo habitat. Ed è la frase che meglio riassume il dramma dell’ Italia, sommersa dall’ immondizia che non riesce a smaltire perché ci sono gli animali, le pantegane e i topi che se ne beano, i mafiosi e i camorristi che ci speculano e i Lavitola che la trasformano in plusvalenze finanziarie e in rapporti industriali con le aziende di Finmeccanica, con l’ Augusta, la Selex, la Telespazio, e con la Rai. E’ al contatto con questo suo elemento che Lavitola diventa più vivo e più forte. Così quando Tarantini scopre la truffa, è Lavitola che lo rimprovera e gli fa pure la morale. Gli rinfaccia di condurre una vita «esagerata», di frequentare il lussuoso ristorante “Assunta madre” «ingioiellato ed elegante», di comprare alla moglie «la borsa di Cartier». E dice di averne parlato anche con Berlusconi, il quale gli avrebbe detto che «Tarantini consuma come una Ferrari». Tarantini piagnucola, ma Lavitola è spietato: «E cosa gli devo dire, che tu consumi come una ‘ 500′ ?». E ancora: «Vuoi sapere la mia, tu i cinquecentomila euro te li spendevi in sei mesi». E Tarantini diventa sempre più malinconico: «Tu sai che sto con le pezze al culo». E di nuovo ricorre alla moglie: «Devo comprare la macchina a Nicla». Prova pure a commuoverlo: «Mia madre va girando a Bari con il cappellino per non farsi vedere per strada». Ma l’ altro è implacabile: «Mi hai iniziato a dire che ci stanno da dare 15.000 euro al salumiere, me lo hai detto mo’ , un minuto fa». E mentre Tarantini se ne esce con un comicissimo «No!» noi pensiamo al salumiere di Dickens, quello della voluttà animalesca in vetrina, dell’ affettato d’ oro, e chissà cosa mangiavano e bevevano i Tarantini con Lavitola, e quanti brindisi augurali di compiacimento reciproco, anzi “tre-ciproco”. Il lungo colloquio telefonico tra l’ umiliato Tarantinie il bieco Lavitola – leggetene l’ intera trascrizione, perché ne vale la pena – è il capitolo più sapido di questa sozzeria imperiale dove anche il crimine diventa un dettaglio che galleggia sulla fanghiglia, morale politica e sessuale. Tarantini e Lavitola sono uniti dalla truffa. È il loro codice e la loro pulsione. Perciò la loro è una partita aperta anche se non rimanda al fascino letterario del crimine ma alla grassa comicità della truffa sguaiata. Si tratta tuttavia di un riso che si spegne subito perché sullo sfondo c’ è Berlusconi nel ruolo del vecchio ricattato e rapinato. Nella vetrina dickensiana del salumiere di Tarantini-Lavitola, Berlusconi ha il ruolo della porchetta con la mela in bocca. Lavitola lo chiama «quello là», dice «lo teniamo sulla corda» e anche «è uscito di testa» … Ma poi glielo passano al telefono e allora le escort di Tarantini cessano di essere «puttane», «baldracche» e «troie». E la pietas viene fuori come per paradosso quando Lavitola dice al dottore: «Io sinceramente non credo che ci sia una donna al mondo che se lei le telefona e le dice “vieni qua a farmi una pompa”, quella non viene correndo». E va bene che siamo vaccinati e conosciamo la forza dell’ adulazione sperticata del servo infedele. Ma Berlusconi che cede a Lavitola che gli solletica il punto debole, lo ricatta, lo truffa e lo spolpa, è uno spettacolo tristissimo. E rimane misteriosa l’ origine del ruolo di Lavitola che egli stesso definisce «tra virgolette, di assistenza». Perché lo stipendio che Berlusconi versa a Tarantini deve passare per Lavitola? «Io gli ho detto che a te ti do 8.000 euro al mese, mentre invece te ne do 14, più tutti gli extra … fitto già pagato, più l’ avvocato, più quello, più le emergenze che tieni. “Tu sei impazzito” mi ha detto lui». E anche i cinquecentomila «perché credi che te li ha dati? Perché io gli ho fatto due palle come una mongolfiera». Un punto di alta comicità Lavitola lo raggiunge quando difende, sino al non senso, l’ esclusività del rapporto con Berlusconi, con la sua segretaria e con il suo portafoglio. E bisogna dire che in tutti i settori, del lavoro e del sapere italiani, ci sono i territori di caccia riservata. L’ Italia è costruita così, nelle università per esempio dove l’ antichista e il manzoniano non consentono intrusioni; nelle professioni, nel sindacato, nella critica d’ arte, persino nei parcheggi urbani. Chi individua una risorsa non è disposto a condividerla con nessuno perché attraverso il monopolio di quella miniera stabilisce prezzi, valori e gestisce potere. Ebbene è così anche nella truffa. Lavitola è il Wiston Wolf di Berlusconi, quel personaggio di Tarantino che si presentava così: «Risolvo problemi». E si sa che ha guidato la macchina del fango che ha travolto Fini. Ed è il collega rivale di Bisignani che infatti riempie di contumelie: «fetente, stronzo, pezzo di merda, una mezza figura, una testa di legno, uno che ha parlato con i giudici, e questa – dice a Tarantini – è la stronzata che hai fatto anche tu. Quando uno va dai magistrati e parla, poi se la piglia solo nel culo». Odia Bisignani e il suo protettore Letta. Ci fosse oggi un Guareschi disegnerebbe Berlusconi con questi due diavoli che gli volano attorno, Lavitola armato di forcone e Letta con le alucce, l’ aureola e la faccia di Bisignani. E sono, ahinoi, giornalisti: tra i detriti che il berlusconismo ritirandosi lascia sulla spiaggia italiana ci sono questi giornalisti appunto, che gestiscono le notizie come risorse finanziarie o come arme improprie, ne fanno un uso criminoso, tra il gossip la marchettae il ricatto che nel caso di Lavitola va a sporcare indelebilmente la storia dell’ Avanti, un monumento della memoria italiana. E c’ è nel linguaggio di Lavitola, molto più che altrove, tutta la miseria del turpiloquio che cresce a mano a mano che diminuiscono gli argomenti. Quando appunto Lavitola inventa per la moglie di Tarantini un colloquio con Berlusconi che non vuole riceverli: «Li può vedere? “Per che cosa?”. Niente… e lui mi fa “ma che cazzo dobbiamo fare”, io ho detto che ne so, “ma non ho capito perche cazzo”, “gli stiamo facendo tutto”, presidè non gli stiamo facendo un cazzo, e lui dice “come un cazzo”,… guarda io mi sono rottoi coglioni». Come si vede, non c’ è alcun senso. Ma c’ è la parola cazzo che copre la mancanza di senso. Il turpiloquio di Lavitola è l’ ira del dire che scardina e surroga i significati. Bisognerebbe fare circolare questi documenti nelle scuole: come avvertimento, come ammonimento. E’ il linguaggio di tutte le pedine della truffa. C’ è infatti un modo di truffare anche la lingua. E speriamo che Lavitola millanti quando vanta un patto scellerato con il procuratore di Bari Antonio Laudati.E chissà, più che uno sbuffo di bile, in quel «me ne vado da questo paese di merda», potrebbe esserci uno sbuffo di coscienza che, come un grillo parlante, gli indica una strada. Queste intercettazioni saranno materia per il diritto penale, l’ indagine è appena cominciata ma viene fuori, come dicevamo, un senso di pietas per il modo in cui Lavitola e la sua banda fanno grullo Berlusconi approfittando della sua decadenza fisica e psichica. Danno il senso della putrefazione del paese, e la pietas somiglia a quella che all’ antifascismo più valoroso provocarono i corpi penzolanti di Mussolinie della Petacci. Anche Berlusconi, alla fine di questa lunga ordinanza del giudice di Napoli, penzola dall’ albero della truffa. Neppure sa di essere un personaggio di Foucault. E’ lo scuoiato vivo. E il disgraziato a cui non hanno rubato solo i soldi, ma anche la dignità. – FRANCESCO MERLO