La centrale nucleare di Tricastin, in Francia
Improvvisamente, come se per quasi vent’anni non avesse costruito il proprio potere sulla concitazione degli animi, Berlusconi invita alla calma, sul nucleare. È il perno della campagna contro i referendum: non si può decidere, “sull’onda dell’emozione” causata da Fukushima, con il necessario distacco. Lo spavento, ripetono i suoi ministri, “impedisce ogni discussione serena”.
La parola chiave è serenità: serve a svilire alle radici il voto del 12-13 giugno. È serenamente che Berlusconi proclama, proprio mentre Germania e Svizzera annunciano la chiusura progressiva delle loro centrali: “Il nucleare è il futuro per tutto il mondo”. È una delle sue tante contro-verità: la Germania cominciò a investire sulle energie alternative fin da Chernobyl, e il piano adottato il 6 giugno non si limita a programmare la chiusura di tutti gli impianti entro il 2022: la parte delle rinnovabili, di qui al 2020, passerà dal 17 per cento al 38, per raggiungere l’80 nel 2050. È emotività? Panico? Non sembra. È il calcolo razionale, freddo, di chi apprende dai disastri e non li nasconde né a sé né ai cittadini. È una presa di coscienza completamente assente nel governo italiano, aggrappato all’ipocrita nuovo dogma: “Non si può far politica con l’emozione”.