EVASORI Se chi non paga le tasse mette a rischio la società

15 settembre 2011 —   pagina 58   sezione: CULTURA

Gli antichi romani evadevano il fisco? Negli ultimi tempi dell’ impero lo facevano rifugiandosi persino presso i barbari, pur di non cadere nelle grinfie degli esattori. In un libro recente sull’ impatto delle tasse sulla civiltà umana uno storico americano attribuisce alla schiacciante pressione fiscale la responsabilità principale della caduta dell’ impero romano. Nell’ Italia di oggi gli evasori hanno vita molto meno ardua. Non è necessario rifugiarsi nell’ inferno dei barbari. Basta che depositino i loro soldi nei paradisi fiscali; oppure ricorrano a pensionati e nullatenenti nostrani. Il 53 per cento dei contratti di locazione, spesso non registrati, delle ville di Porto Cervo, Forte dei Marmi, Porto Rotondo, Rapallo, Capri, Sabaudia, Panarea, Portofino, Taormina e Amalfi sono intestati a pensionati con la social card, prestanome di ignoti non-contribuenti. Così fiorisce l’ evasione fiscale italiana, una delle più ricche del mondo. Secondo le più recenti stime dell’ Istat l’ economia sommersa in Italia ha raggiunto nel 2008 circa 275 miliardi di euro pari al 17,5 per cento del Pil. Di questi si stima che 230 miliardi siano propriamente evasione fiscale, con un mancato gettito di 120 miliardi: più del doppio della “manovra” in corso. L’ Agenzia delle Entrate ha stimato che l’ evasione riguarda in particolar modo il terziario e il settore delle costruzioni, dove arriva al 60 per cento del reddito. È più elevata al Sud, dove raggiunge il 50%, il doppio del Nord in termini relativi, mentre quest’ ultimo prevale ovviamente in termini assoluti. In Europa l’ evasione fiscale italiana è preceduta soltanto di pochissimo dalla Grecia con il 20 per cento; è poco più di quella inglese mentre nei riguardi degli altri paesi registra un differenziale che è in media di 10 punti: 11 per cento in Germania, 7 per cento in Francia, 4 per cento in Danimarca, 4 per cento in Spagna e Portogallo (!), 3 per cento in Svezia. Il differenziale italiano con gli altri paesi è rimasto stabile negli ultimi venti anni, mentre si sono rinnovate con puntuale insistenza le promesse di decine di governi di combattere l’ evasione fiscale. Quanto alla capacità del governo di “mettere le mani in tasca agli italiani”, secondo la simpatica definizione berlusconiana, dopo una breve flessione, il “prelievo” berlusconiano delle tasche ha ripreso vigore dal 2008. Quanto all’ Iva, un recente studio promosso dalla Commissione di Bruxelles stima un’ evasione di imponibile italiano del 22 per cento contro il 9 per cento in Germania e il 7 in Francia (30 per cento in Grecia). Quanto ai rapporti tra fisco e contribuenti, dunque, l’ Italia non eccelle per reciproca stima. Altri paesi, soprattutto quelli scandinavi, hanno da tempo raggiunto uno stadio di convivenza civile, Quei rapporti hanno attraversato nella storia fasi alterne e tempestose. S’ è detto dei romani. Se si prescinde dai catastrofici ultimi secoli la pressione fiscale nei secoli della repubblica e nei primi dell’ impero si era mantenuta entro livelli moderati come lo era stata in genere durante tutta l’ antichità. La patologia di quel rapporto non stava, nell’ antichità, nell’ altezza della pressione fiscale ordinaria ma nelle frequenti guerre, con il loro contorno di stragi, violenze, schiavitù e rapine. L’ economia romana non era alimentata dalle entrate fiscali regolari, ma dal flusso continuo di prelievi violenti sulle popolazioni sottomesse. Fu a partire dalla fine di quei prelievi che quell’ economia di rapina entrò in crisi. Nel Medioevo un vero e proprio sistema fiscale neppure esisteva. I prelievi ordinari erano lasciati alla consuetudine o all’ arbitrio. Gravavano essenzialmente sulle rendite fondiarie. Nei primi Stati nazionali il prelievo fiscale dei governi era percepito con il consenso dei sudditi come in Inghilterra, attraverso il sistema parlamentare, o con l’ autorità sostenuta dalla forza come sempre più spesso in Francia. La causa fondamentale del prelievo era il finanziamento delle guerre ma anche dei consumi dell’ aristocrazia. Negli Stati nazionali della modernità il peso politico delle nuove classi popolari e l’ avvento della democrazia hanno spostato l’ asse del prelievo fiscale dagli impieghi militari alle spese sociali, mentre lo sviluppo del capitalismo premeva perché quelle risorse fossero destinate al finanziamento di investimenti produttivi. Le due destinazioni non sono affatto conflittuali, sono complementari: il capitalismo ha bisogno di una vasta infrastruttura sociale e quest’ ultima è inconcepibile senza un’ adeguata produzione di ricchezza. È in questo spazio sociale che si insinua lo sfruttamento dell’ evasore fiscale. L’ evasore fiscale, facendo mancare risorse allo Stato, pregiudica entrambe le funzioni, quella capitalistica e quella amministrativa, campando a scrocco. È, in senso proprio, un “magnaccia”, che mette le mani nelle tasche dei cittadini. Ma la responsabilità dell’ evasione fiscale non sta tutta sulle spalle degli evasori. Anche su quelle dei governi. Non parlo solo delle dichiarazioni di benevolenza (Je vous ai compris) del Premier. Parlo soprattutto della selva dei condoni delle esenzioni degli “scudi” che hanno abituato gli evasori all’ idea che il gioco è truccato. – GIORGIO RUFFOLO

Fonte:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/09/15/evasori-se-chi-non-paga-le-tasse.html

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