Tendi la mano per stringere calorosamente quella del giovane collega giunto da Tokyo. Questi, per tutta risposta, braccia lungo i fianchi, si prodiga in un inchino. Resti immobile per un secondo, con il palmo aperto in attesa, e ti senti anche un po’ tonto. E nervoso. “Ma che fa?”, pensi. Oppure: “Si sarà offeso?”. Quando due culture diverse si incontrano possono nascere piccole incomprensioni, che generano confusione e irritazione. Ma anche, per fortuna, un po’ di curiosità. Curiosità che ci spinge a comprendere sempre meglio le differenze culturali e come esse si sono sviluppate.
Anche se la realtà moderna è molto più globalizzata rispetto al passato, l’interesse verso le diversità culturali è antico: Erodoto, nel 400 a.C., fu infatti il primo a trattare l’argomento all’interno della sua opera Le Storie. “Se qualcuno dovesse imporre all’umanità di scegliere tra tutti il miglior insieme di regole”, scrive lo storico greco, “ogni gruppo opterebbe, dopo attenta riflessione, per le proprie usanze; ogni popolo ritiene che i propri costumi siano i migliori”. Un’ipotesi convincente, niente da dire. Ma perché si verifica questo? Semplice orgoglio nazionale? E inoltre per quale motivo i diversi popoli del mondo hanno sviluppato usanze talvolta così diverse?
Michele J. Gelfand, professoressa di psicologia presso l’Università del Maryland, con i suoi colleghi ha cercato di rispondere a queste domande nel suo lavoro da poco pubblicato su “Science”. In particolare, lo studio si pone l’obiettivo di capire perché alcune culture sono più rigide di altre, ossia come mai in alcune società si hanno regole più rigorose e una minor tolleranza verso i comportamenti “anomali”. Gelfand vuole verificare la propria ipotesi: una cultura sarà più o meno rigida come conseguenza di una complessa correlazione tra le istituzioni sociopolitiche e i pericoli, di origine sia umana sia ambientale, che la minacciano. Il tutto si riflette sulla “rigidità” dei contesti quotidiani, come ad esempio la scuola o il luogo di lavoro.