«Prima ci arrestavano, ora ci uccidono»

«They want to kill me, but I will not stop my work». Vogliono ucciderlo, ma lui non ha intenzione di fermarsi. Il messaggio arriva forte e chiaro via skype, mentre sul suo computer si sente piovere una tempesta di messaggi. Arrivano dai giornalisti di tutto il mondo: Cnn, Bbc, Ap, Al Jazeera. Il suo vero nome è Rami Nakhle, ma è meglio conosciuto con lo pseudonimo Malath Aumran. Chiuso in una stanza di Beirut, dove si trova in esilio, tiene le redini della guerra telematica contro il regime siriano di Bashar Al-Assad. Vive di facebook, twitter, flickr. Rilascia interviste, organizza le rivolte, conta i morti, carica in rete «almeno 100 video al giorno», ognuno dei quali testimonia «le violenze di piazza commesse dall’esercito siriano». Sa di rischiare grosso: «Non soltanto il carcere, perfino la vita». L’anno scorso è miracolosamente scampato all’arresto, oltrepassando il confine libanese con la polizia siriana alle calcagna. I servizi segreti siriani gli stanno dando la caccia anche a Beirut, «ma sono ben nascosto», assicura lui. Vive da recluso, «non metto mai piede fuori di casa», passando le giornate attaccato al computer, alimentando l’onda della rivoluzione on line. Ventotto anni e una laurea in scienze politiche, ha iniziato a percorrere le vie del web cinque anni fa, fondando la rivista on line Siria News. Poco dopo ha lanciato la campagna contro la rete di telefonia cellulare Syriatel, accusata di corruzione e di proprietà di Makhlouf, cugino del leader Assad. Oggi è uno dei cyber-attivisti siriani più ricercati dai servizi segreti. Nei giorni scorsi, un messaggio via Facebook lo ha avvertito che sua sorella sarebbe stata arrestata qualora non avesse interrotto la sua propaganda antigovernativa.

Jacopo Storni

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